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Orrori mondiali

Sul nostro portale abbiamo scritto e plaudito della vicenda che vedrà la pizza ottenere l’ambito riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità, o meglio, per essere precisi il riconoscimento sarà dato “all’arte dei pizzaiuoli napoletani”.
È giusto, non è giusto? Perché ai pizzaiuoli napoletani si e, ad esempio, ai pizzaioli di Tramonti no? E i pizzaioli romani, piuttosto che quelli di Milano?
Lo abbiamo detto prima e lo ribadiamo: sarebbe stato giusto richiedere un riconoscimento alla pizza italiana artigianale, fatta con i crismi della qualità e del buon gusto. Ma questo avrebbe significato che le 100 associazioni italiane che si occupano di pizza dovevano essere unite e coese e lavorare a un solo comune obiettivo. Utopia pura: da quando mondo è mondo (parliamo di pizza) le associazione fra pizzaioli in Italia non hanno fatto altro che litigare e spaccarsi. Spesso da un’associazione ne nascevano due, cinque, dieci, dipendeva dai galletti che stavano nel pollaio. Ognuno a guardare al proprio orticello, farsi le gare uno sull’altro, dividersi, accapigliarsi, qualche volta insultarsi, ma mai e poi mai ritrovarsi per pensare a un progetto comune. Un grande progetto comune che tenesse alta la bandiera della pizza artigianale italiana. Pizza artigianale con cui tutti si sciacquano la bocca gridando ai quattro venti di essere gli unici, soli e ovviamente migliori ambasciatori della vera pizza made in Italy.
Un teatrino scadente e deprimente.
Nel frattempo la pizza in giro per il mondo corre il rischio di imbastardirsi e perdere la sua originaria veste tricolore. Ripetiamo sarebbe questo il vero patrimonio da tutelare, nel mondo. Perché, detto fra noi, in giro per il pianeta si vedono di pizze strane e stranianti. Ancora più stranianti quando vicino ci mettono il tricolore.
Ad esempio, giusto per farvi passare l’appetito ecco una breve carrellata di come viene (mal)trattata la pizza in giro per il mondo.
Negli Stati Uniti la pizza è un cibo molto richiesto, ma per lo più lì vengono mangiati dei patacconi incredibili, come ad esempio quella con snack di pollo, distributore-pizza.jpgpatatine e hamburger, e naturalmente formaggio. Ma non bastavano i panini?
In America la pizza più richiesta, servita su una disco con tanto di bordo tipo gommone è farcita con peperoni, funghi, salsiccia, pepe verde, cipolla e formaggio extra. Possiamo chiamarla americanata?
Il male dei mali però in America è quando la pizza viene trattata come una bibita. Negli States, ma anche in altri continenti, si trovano i distributori automatici. Per pochi dollari, 5 o 6, la macchina sforna la pizza con la ricetta che più ti piace. Ma che a noi non piace. Per nulla.
Per il Giappone invece Pizza Hut ha creato una megapizza la cui crosta è fatta di hot dog avvolto in pancetta e rotoli di formaggio fuso. Al centro si trovano piccoli hamburger, mini panini al formaggio, salsiccia, pancetta, prosciutto, funghi, cipolla, pepe, aglio e salsa di pomodoro. La pizza viene servita con due condimenti: ketchup e sciroppo d’acero. No comment.
Negli altri Paesi non hanno meno pietà. In India la puoi mangiare con pezzettini di serpente. La digestione sarà lentissima considerando che mettono i tocchetti dei rettili su una specie di focaccia alta tre dita e condita con delle salse dolciastre e del formaggio difficile da indentificare. Sempre in Giappone si divertono con il pesce, anguille e calamari insaporiti da maionese, patate e pancetta. Va però detto che in Giappone ci sono locali che fanno benissimo la vera pizza napoletana. Una colonia di pizzaioli, fatta scuola a Napoli, ha portato nel Paese del Sol Levante la tradizione verace, merito dell’Associazione Vera Pizza Napoletana (AVPN), segno che quando si lavora bene si può andare lontano salvaguardando qualità e tradizione.
pizza-giappone.jpgIn Russia si va con pescato misto: tonno, sgombro, salmone, sardine. Più che una pizzeria dovrebbe essere una pescheria. Assicurano però che è digeribilissima e ricca di omega 3. No grazie preferisco la marinara, che pur chiamandosi così di pesce non ne ha, ma solo aglio. Però che strano, perché si chiama Pizza alla Marinara e non ha nulla di mare? Ve lo scriviamo alla fine di questo articolo.
In Australia pizza ai gamberetti, però ci sta anche l’ananas (che centra?) insaporita con salsa barbecue. Nei paesi del centro America va alla grande la pizza al cocco, poi il giro per il globo non mancano quelle con le cicale, quelle con riso e pollo al curry. C’è di tutto, dagli esotismi ai masochismi. Alla pizza non fanno mancare nulla. Tutto tranne la cosa più buona che la pizza ha, e che in giro per il mondo non conoscono più, la semplicità.
 
Perché la pizza alla Marinara non contiene nella sua ricetta i prodotti del mare?
La pizza alla “Marinara” è una pizza antichissima. Risale introno al ‘700. All’origine era solo composto da olio e aglio e una manciata di origano. Niente sugo di pomodoro. Il sugo di pomodoro sarebbe andato a farcire la pizza solo nei primi anni del ‘800.
Come qualcuno saprà la pianta del pomodoro era giunta in Europa a seguito della scoperta dell’America, nel 1492. Per secoli era stata usata solo come pianta ornamentale. Poi qualche geniaccio napoletano pensò bene di far maturare i frutti e cavarne quella polpa divina che tutti conosciamo. Ma sulla pizza arrivò solo agli inizi dell’800. La pizza mozzarella e pomodoro fu infatti ricettata in quel secolo ed ebbe la sua consacrazione nel 1889 quando fu abbinata alla regina d’Italia Margherita di Savoia.
Ma torniamo alla Marinara, perché si chiama cosi?
Le pizze anticamente venivano chiamata con le categoria di clienti che le consumavamo. La Marinara era stata fatta appostata per i pescatori. Specie per quei pescatori che tornavano a terra senza aver pescato nulla o poco e quindi non potevano mangiare di parte del loro pescato.
«‘Nsapuriscila nu poco», dicevano allora i pescatori quando tornavano a riva senza aver pescato un gran che. E i furbi pizzaioli napoletani la insaporivano con l’aglio. Costava poco e aveva un gusto più che deciso. Il cibo a volte si nutre anche di fantasia e creatività.


15/06/2016

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